Al Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Pisa
Cons. Alessandro Crini
OGGETTO: ESPOSTO SU CONDIZIONI DI DETENZIONE NEL CARCERE DI PISA
Roma, 27 ottobre 2016
Egregio Consigliere Alessandro Crini,
domenica scorsa, 23 ottobre 2016, ho visitato il carcere Pisa, assieme ad una delegazione dell’Associazione Andrea Tamburi di Firenze composta da Maurizio Buzzegoli, Massimo Lensi, Vincenzo Russo, Emanuele Baciocchi, Alessandra Impallazzo. La visita era stata autorizzata dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ai sensi dell’articolo 117, comma 2, del DPR n. 230 del 2000 (Regolamento penitenziario).
La delegazione è stata condotta in visita dal Comandante dell’istituto, dott. Vincenzo Pennetti, mentre il Direttore, assente per motivi di salute, il giorno successivo ha recapitato alla scrivente via email, il questionario debitamente compilato che avevamo trasmesso tramite il DAP, questionario che alleghiamo alla presente in quanto, già dalle risposte fornite si comprende come l’Istituto si trovi in palese violazione della normativa vigente.
In particolare, emerge che, a fronte di una capienza regolamentare di 210 posti, i detenuti presenti – tutti comuni – sono 266, 242 uomini e 24 donne. 143 sono i detenuti con condanna definitiva, mentre coloro che sono in attesa di giudizio sono ben 123 (46,2%), di cui ben 62 imputati (23,3%). Non pochi detenuti si trovano reclusi per scontare “un vecchio reato” che prevede anche solo pochi mesi di detenzione.
Nell’istituto di Pisa, dove si trovano 169 stranieri (160 uomini e 9 donne), cioè il 63,5% della popolazione detenuta, non c’è la figura del mediatore culturale, con tutti i problemi che ne conseguono per la presentazione delle istanze e/o reclami di ogni genere sia alla Direzione che al Magistrato di Sorveglianza.
I detenuti dichiaratisi tossicodipendenti sono 71 (60 uomini e 11 donne); di loro, 29 uomini e 5 donne sono in terapia metadonica. I sieropositivi sono 7, tutti uomini, mentre i detenuti affetti da epatite C sono 29 (24 uomini e 5 donne); i casi psichiatrici gravi sono 11 (7 uomini e 4 donne); i disabili motori sono 2, un uomo e una donna e occorre tenere presente che l’istituto (e le celle) NON è accessibile ai disabili motori i quali rischiano costantemente di cadere compiendo gli atti quotidiani della vita e di scivolare nelle docce (se tali possiamo definirle, considerata la loro insalubrità).
Su 266 detenuti sono solo 63 coloro che svolgono un’attività lavorativa; nella realtà dei fatti per 45 di loro trattasi di lavori interni al carcere (scopino, porta-vitto, spesino… lavori nient’affatto professionalizzanti e difficilmente spendibili una volta finita di scontare la pena) svolti per poco tempo e retribuiti con mercedi miserrime. Tutto il resto della popolazione detenuta passa la giornata nell’ozio e nella disperazione più completa. L’istituto è privo di palestra, ha il campo sportivo ma è inagibile e non è dotato di area verde per i colloqui con i familiari.
Ma ciò che ha sconvolto la delegazione in visita è stata la sporcizia e la fatiscenza dei luoghi di detenzione: mura scrostate e tappezzate con carta di giornale per coprire le sozzure stratificate sulle pareti, materassi indecenti, gabinetti a vista così che i detenuti devono defecare e orinare alla presenza dei loro compagni di cella e del personale penitenziario, scarichi wc e rubinetti rotti, reti fisse alle finestre che impediscono l’ingresso della luce e dell’aria, docce immonde, assenza dell’acqua calda in cella cosicché i detenuti debbono lavare i loro poveri indumenti con l’acqua fredda e appenderli in stenditoi di fortuna in cella. Il pericolo di trasmissione di malattie infettive in tale situazione di degrado igienico-sanitario è altissimo. La ASL, chiamata semestralmente a constatare lo stato dei luoghi, ha effettuato l’ultima visita il 13 aprile scorso evidenziando la compromissione della salubrità delle celle e di altri luoghi frequentati da detenuti e personale: purtroppo, nulla è accaduto da allora.
Non è un caso, ad avviso della scrivente, che nel carcere di Pisa, nel corso di quest’anno si siano verificate due morti; che nel 2015 si sia suicidato un detenuto; che gli atti di autolesionismo dei detenuti ammontino a ben 184 e che le aggressioni nei confronti degli agenti siano stati 10. Lo stato di sofferenza e di prostrazione della popolazione reclusa è elevatissimo. Anche il personale, costretto ad operare nelle condizioni descritte, è apparso abbattuto, quasi umiliato a dover imporre ad altri esseri umani trattamenti così degradanti.
Si segnala anche la presenza in carcere di una detenuta con gravi problemi psichici, ricoverata nel Centro Clinico femminile del carcere. La ragazza in questione è sottoposta a una misura di sicurezza provvisoria per pericolosità sociale e, per questa ragione, non dovrebbe essere reclusa in un carcere, ma in una Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), come previsto dalla legge 81/2014, per le necessarie cure di natura ambientale e farmacologica. Da quanto appreso nel corso della visita, nonostante l’interessamento dei medici che hanno in cura la ragazza, non è stato possibile trasferire questa persona in carico alla Asl competente e/o in una struttura sanitaria adeguata a causa di mancanza di posti liberi sia nella struttura Rems di Castiglione delle Stiviere (Mantova, Lombardia) sia in altra località, preferibilmente più vicina come prescritto dalla norma relativa alla regionalizzazione degli internati psichici ex legge 81. La Toscana ha attualmente attiva solo una Rems in località Volterra, già piena e interamente dedicata agli uomini. Pur essendo il Centro Clinico femminile in condizioni migliori rispetto al resto della struttura penitenziaria di Pisa, si annota, tra i numerosi problemi, anche una scarsa coesione tra carcere e strutture territoriali preposte a garantire il diritto alla salute in carcere, come la Regione Toscana e le Asl.
A quanto ci ha riferito la Direzione nelle risposte al questionario, il Magistrato di Sorveglianza “si reca in sezione per i colloqui con i detenuti” ogni 15/20 giorni, ma non è chiarito se visita le celle di detenzione. Nel caso in cui lo abbia fatto come prescritto, c’è da meravigliarsi del mancato intervento, considerato che per l’art. 69 O.P egli può esprimersi anche con “disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati”. In particolare, la sentenza della Corte Costituzionale n. 266 del 23 settembre 2009, nel rivalutare il ruolo complessivo del Magistrato di Sorveglianza nei suoi rapporti con le altre istituzioni ed in particolar modo con l’amministrazione penitenziaria, precisa che «…la norma (l’articolo 69 O.P.), nel quinto comma (ultimo periodo) dispone che il magistrato di sorveglianza «impartisce, inoltre, nel corso del trattamento, disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati». La parola «disposizioni» – precisa la Corte Costituzionale – nel contesto in cui è inserita, non significa segnalazioni o inviti (tanto più che questa modalità d’intervento forma oggetto di apposita previsione nel primo comma dell’articolo 69), ma prescrizioni ed ordini, il cui carattere vincolante per l’amministrazione penitenziaria è intrinseco alle finalità di tutela che la norma stessa persegue»; i commi 1 e 2 dell’art. 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354 stabiliscono che “Il magistrato di sorveglianza vigila sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena e prospetta al Ministro le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo. Esercita, altresì, la vigilanza diretta ad assicurare che l’esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti”; l’art. 5 del D.P.R . n. 230 del 30 giugno 2000 prevede che “Il magistrato di sorveglianza, nell’esercizio delle sue funzioni di vigilanza, assume, a mezzo di visite e di colloqui e, quando occorre, di visione di documenti, dirette informazioni sullo svolgimento dei vari servizi dell’istituto e sul trattamento dei detenuti e degli internati.”; il 1° comma dell’art. 75 del D.P.R . n. 230 del 30 giugno 2000 prevede altresì che “Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell’istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali. (…)”.
Tutto quanto prescritto dalla normativa sopracitata nell’individuare i compiti del giudice di sorveglianza, non sappiamo se a causa della carenza degli organici, appare totalmente ignorato. Del resto, anche i giudici che hanno predisposto la custodia cautelare nel carcere di Pisa sembrano ignorare del tutto le condizioni di detenzione. Stessa osservazione vale per il Provveditore Regionale e per il Garante Regionale delle persone private della libertà.
Appare infine doveroso comunicare che nel carcere di Pisa non vige alcun “regolamento interno”, come predisposto dall’art. 36 del DPR 30 giugno 2000, n. 230 e, di conseguenza, esso non viene consegnato ai detenuti al momento dell’ingresso in carcere per conoscere quali siano i diritti e i doveri ai quali si debbono attenere.
Nel ringraziarla per l’attenzione, chiedo di essere informata sull’esito del presente esposto, ed eventualmente di essere avvisata della eventuale richiesta di archiviazione ai sensi dell’art. 408 del c.c.p. e ss.
Rita Bernardini