Sollicciano, un’altra vita si è spenta

Dopo tanti giorni di pioggia incessante, finalmente un  po’ di tiepido sole. Il telefono squilla. Rispondo. Un’ombra, di quelle scure, più volte conosciuta, mi rabbuia il viso. Nel tragitto in auto non riesco a pensare a niente. Sono talmente tante le riflessioni che mi aggrediscono, che la mente si rifiuta di ordinarle e così si annullano l’un l’altra. Arrivo. Routine del caso. E poi… il sordo rumore di chiavi, l’odore di umido, il freddo nel cuore. Le porte di Sollicciano si aprono.

Incrocio gli sguardi dei collaboratori, degli agenti, dei presenti. Un altro ragazzo, 34 anni, si è tolto la vita nel carcere dove già tanti hanno chiuso con la pena morendo. Una corda improvvisata, un lenzuolo bianco e un po’ liso, ha tolto voce, per sempre, alle sue parole. Niente più dolore dentro, niente più emozioni, niente progetti senza speranza.

Mi sento soffocare anch’io in un’aria viscida con tanti pensieri che mi martellano le tempie.

Quanto degrado e quanta umiliazione può sopportare l’anima di un uomo senza orizzonti?

Si può vivere senza l’idea di un futuro? Senza vedere una strada da poter percorrere?

Evidentemente no. Non è umanamente sopportabile vivere nell’abbandono. Non è cristianamente ammissibile il degrado in cui i detenuti, colpevoli di reato, diventano vittime del sistema carcerario.

La pesante sanzione incassata dall’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo per il sovraffollamento e il trattamento inumano dei detenuti sembra già acqua passata eppure, quando fuori piove, le celle ne trasudano ancora tanta, di acqua, dalle pareti ammuffite…

Perché la detenzione possa trasformarsi in un’esperienza educativa occorre che ”l’aula di apprendimento”, ossia il carcere,  sia adeguatamente dotata: ma cosa serve veramente?

Progetti per il futuro e umanità nel presente. Tutela dell’integrità della persona oggi per una vita dignitosa domani.

Se il carcere dev’essere luogo preposto alla rieducazione, chi ha sbagliato, chi ha commesso errori, non può morirci dentro.

A noi, uomini liberi e istruiti, spetta il compito di far funzionare il Sistema.

Don Vincenzo Russo

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